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Posted by on Lug 8, 2014 in Blog | 0 comments

La Caduta dei Titani (ovvero il colosso dai piedi d’argilla)

La Caduta dei Titani (ovvero il colosso dai piedi d’argilla)

 

Attenzione! Ora sparerò un po’ di sciocchezze condite d’ovvietà, ma il bello di internet è questo: io scrivo e nessuno ci può far nulla.
Però ho avvisato, quindi la mia coscienza è a posto. Fatti vostri. Seriamente: non leggete, è peggio di Daniele che spiega il sogno a Nabucodònosor.

Ok, se proprio ci tenete, ecco qui.

Varie vicende che ho visto e vissuto negli ultimi anni e delle situazioni di cronaca sportiva e politica hanno confermato la mia idea che un grosso problema del lavoro di squadra sia dato da coloro che iniziano a ritenersi migliori di tutti fino a perdere la misura delle cose. E’ un problema maggiore dell’avere una squadra di schiappe volonterose, che si rendono conto di esserlo e fanno di tutto per migliorarsi, raggiungendo obiettivi un po’ alla volta.

Intendiamoci: i campioni esistono e averne in squadra è fondamentale per la vittoria. Ma nel momento in cui il campione (o uno dei campioni) inizia a pensare di essere l’unico in grado di raggiungere l’obiettivo e che il resto della squadra sia solo di supporto a lui, le cose iniziano inesorabilmente a peggiorare. Il campione inizia a tentare di ricoprire tutti i ruoli, contemporaneamente.
Inizia a confondere la buona sorte di alcuni colpi con dimostrazioni della sua estrema bravura. Inizia ad attribuirsi anche i colpi buoni degli altri. Delega ai compagni di squadra compiti ‘da raccattapalle’ e non li valorizza, oppure magnanimamente li elogia per cose che comunque lui non sarebbe mai riuscito a fare, ma con il velato atteggiamento di chi avrebbe potuto. Magari si sente anche bravo nello spronare gli altri a ottenere ‘piccoli’ risultati, ritenendoli in cuor suo nulla di paragonabile a quello che farebbe lui se solo volesse.

E, man mano che il clima in squadra si raffredda, gli altri componenti iniziano a guardarsi in giro e vedono squadre che, pur di livello inferiore, si divertono a giocare e gioiscono dei risultati. Si sentono sottoutilizzati, umiliati. Alcuni pensano di cercare altrove. Contemporaneamente l’ex-campione (perché non lo è più) si rende conto che il livello generale sta scendendo e inizia a scalciare, attribuendo la responsabilità delle sconfitte agli altri. O compie azioni eclatanti che gli procurano credito, ma non giovano alla squadra e alla lunga si rilevano inutili anche per lui se non addirittura controproducenti.

A questo punto che cosa ho sempre visto succedere? Si fanno incontri per cercare di capire dov’è il problema; in questi incontri l’ex-campione spiegherà dove gli altri sbagliano e se gli si fa notare che qualche errore l’ha fatto anche lui alzerà muri e farà presente che è pronto ad andar via in qualsiasi momento, anzi: già altre squadre sono pronte ad accoglierlo e sta seriamente pensando di accettare.
E le riunioni finiscono con la decisione di cambiare modulo, di cambiare un paio di elementi in squadra e di provare una nuova tattica. Purtroppo questa non è una soluzione, è un circolo vizioso che dopo un po’ ricomincia.

Come si risolve? O l’ex-campione fa un bel bagno di umiltà e ritorna al suo posto (e la squadra resta stabilmente nella categoria maggiore con gran soddisfazione di tutti) oppure la squadra finisce in ultima categoria, l’ex-campione va via sbattendo la porta alla squadra di schiappe e… magia! Le schiappe ricominciano a vincere. La squadra ricomincia ad ottenere risultati e a risalire in classifica, forse non come avrebbe potuto con il campione ma comunque a sufficienza per ritrovare la gioia di giocare insieme.
C’è anche una terza possibilità, seppur rara: un altro campione (attuale o in fieri) si rende conto di cosa stia succedendo e fa fuori l’elemento di disturbo con l’aiuto del resto della squadra.

Come ho premesso, questi pensieri mi sono venuti in mente pensando a situazioni che ho visto di recente che confermano ciò che già pensavo da tempo. Se leggendo ciò ti senti tirato in causa (e magari neppure ci conosciamo) sei probabilmente nell’ottima posizione di poter ancora scegliere: vuoi crescere con la tua squadra o affondarla? o ancora vuoi rischiare di essere fatto fuori? scegli saggiamente.

Finisco questo sproloquio con un proverbio che mi piace molto:

Se vuoi andare veloce, vai da solo.
Se vuoi andare lontano, vai in compagnia. (di tuoi pari, aggiungo io)

E con un piccolo quasi-post scriptum: se una squadra ha giocato per anni senza di te restando a galla tra i grandi vuol dire che i componenti sono almeno passabili. E quindi possono continuare anche senza di te. Pensaci.

 

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