Siamo nel letame fino al collo, iniziamo a spalare.
Il 7 ottobre, esattamente tre settimane fa, scrivevo su Facebook:
Beh, call me Cassandra, in questi giorni ci siamo arrivati: un lockdown sotto mentite spoglie.
Chiudere le attività dopo che sono state costrette a spendere fior di denari per mettere tutto in sicurezza e acquistare sanificanti e DPI, incolpare la “movida”, chiudere le attività di ristorazione alle 18, chiudere i teatri e i cinema non sono altro che mezzucci per nascondere che, dopo 9 mesi dalla dichiarazione dello stato d’emergenza… stiamo ancora brancolando nel buio.
Una “crisi” che dura quasi un anno non è più un’emergenza, è una situazione durevole che bisogna gestire. E se vengono adottate le stesse misure dell’inizio (chiudetetutttooooooo), vuol dire che non si è fatto nulla.
Ad aggravare questa situazione ci si mette una modalità comunicativa che definire “terroristica” è usare un eufemismo.
Non si sono mai visti DPCM o ordinanze preceduti dai trailer per valutare il gradimento del pubblico prima della pubblicazione, né un governo che – nero su bianco – fortemente consiglia di fare questo o quello, o ancora politici e amministratori che accusano qualcuno di avere “il coraggio di divertirsi in una situazione così tragica”, che non hanno il coraggio di imporre ma ci ricordano “i doveri del buon cittadino”. Ogni giorno i giornali titolano “bollettino di guerra”, “mai così tanti decessi” e così via, decontestualizzando e utilizzando iperboli utili solo a far salire l’ansia a chi è già preoccupato di suo, dimenticando che durante le guerre – sotto le bombe e mentre i palazzi crollavano – la gente si sposava, viveva, faceva figli e celebrava i piccoli momenti di normalità con una visione ben più lungimirante di quella che molti stanno mostrando oggi, perché sapevano che la guerra sarebbe finita e sarebbe stato necessario tornare a vivere.
Ormai ordinanze e decreti si susseguono a ritmo giornaliero, impedendo di programmare la propria vita anche semplicemente per l’indomani; sabato scorso ho telefonato a una famosa gelateria di Napoli per prenotare una torta gelato e mi hanno risposto sconsolati che non potevano accettare la prenotazione perché non sapevano se l’indomani avrebbero aperto.
Quindi? Ho una soluzione?
No: se l’avessi sarei uno di quelli che prendono uno stipendio di qualche decina di migliaia di euro – e che comunque sembrano non averla. Ormai il leitmotiv sui social e fuori dagli stessi sembra essere “ma tu sapresti fare di meglio?” dimenticando però che non c’è bisogno di essere chef stellati per dire che quella che ci hanno messo nel piatto è mxxxda calda e fumante con una foglia di basilico a coprirne l’odore. Non saprò guidare un paese verso il sol dell’avvenire ma sono in grado di capire che se alla gente impedisci di mettere in qualche modo il piatto a tavola stai portando il paese verso la guerra civile o anche semplicemente verso l’arrangiarsi, arte di cui noi italiani siamo maestri ma che non porta mai a niente di buono.
La Rivoluzione francese è di qualche secolo fa, l’assalto al Palazzo d’Inverno è del secolo scorso e sono avvenimenti causati dal completo scollamento tra la realtà della maggioranza e quella dell’oligarchia; non mi sembra siano stati avvenimenti piacevoli, almeno dal punto di vista di Maria Antonietta. Ok, ok, non abbiamo memoria storica, ma la promessa di una incredibile – e mai vista – potenza di fuoco è di pochi mesi fa, l’assicurazione che “non ci saranno lockdown” è di qualche giorno fa: qui non è nemmeno memoria storica, è sperare che gli italiani siano tutti affetti da qualche patologia che fa perdere la memoria a breve termine.
Io mi sento intrappolato tra “50 volte il primo bacio” e “Ricomincio da capo”: “e se domani ci fosse un altro DPCM? Oggi c’è stato!” mi verrebbe da dire con la voce di Bill Murray, parafrasando Phil Connors.
Ciò che chiedo è razionalità. Non possiamo farci prendere dal panico. Non attacchiamoci ai numeri che ci consegnano ogni giorno presentandoli come conviene al momento. Consideriamoci su una nave in mezzo ad una tempesta con il capitano ubriaco e in preda a una crisi di panico: le risorse più utili al momento sono i due compagni che abbiamo a destra e a sinistra, proteggiamoli e facciamoci proteggere da loro. Non facciamoci coinvolgere in una guerra tra poveri, statali contro partite iva, ristoratori contro palestre, dipendenti contro imprenditori. Prendiamo ognuno un secchio e iniziamo a buttar fuori l’acqua o, per restare in tema con il titolo, prendiamo un forcone e iniziamo a spalare il letame.
Abbiamo un vantaggio enorme contro il virus: lui senza di noi non può vivere, noi senza di lui si. Siamo esseri umani, siamo adattabili e sappiamo essere i migliori parassiti del pianeta terra: è il momento di dimostrarlo e di fare tesoro, appena sarà finito, di questo periodo. Dovremo ricalibrare le nostre esigenze e il nostro stile di vita, ma non ora. Non è il momento della filosofia e dei massimi sistemi, non è oggi che dobbiamo ragionare sugli errori fatti nel passato o sulla programmazione a lungo termine: la situazione attuale non ce lo consente.
Ora è il momento di uscire dalla tempesta con il minor danno possibile. Il danno ci sarà, saranno vite umane (anche io potrei essere tra quelle, siamo mortali) ma sperare di non averne non ha senso e ci fa solo deprimere a ogni problema all’orizzonte.
Ci vogliono far vivere nell’oggi? Ok, facciamolo. Il braccio alzi il badile oggi, intanto che gli occhi guardano dove andremo domani e la mente pensa a cosa faremo dopodomani.
Quindi via con la strategia 3P (Poche Pippe, Pedalare!), cerchiamo di essere razionali, niente panico, chiediamoci cosa possiamo fare di utile; se ci fanno abbassare la saracinesca tre ore prima (o ce la fanno tenere abbassata per un mese) mettiamoci all’opera per assorbire il colpo e ripartire più forti. Abbiamo subito di peggio (tutti! Pensateci bene e vedrete che è così) non sarà questo a fermarci.
Un esempio? La mia agenzia a gennaio è partita con l’edizione di un mensile cartaceo di cultura e arti performative (Live Performing & Arts)… quali sono i settori che sono stati chiusi per primi e più a lungo in questo periodo? Già: teatri, musei, scuole di danza, eventi e così via. Che dovrei fare, mi metto in un angolino a piangere sconsolato? Beh, no, o almeno per non più di dieci minuti. Mi fermo, parlo con i partner e i collaboratori, ricalibro, programmo, progetto. E se dovesse andar comunque male? Non andrà male, siamo esseri umani, facciamo le stesse cose da qualche milione di anni, cambia solo il modo in cui le facciamo, siamo adattabili, l’unica cosa che ci può davvero creare problemi è chi ci vuole deprimere (economicamente e moralmente): gente inutile e che non merita le nostre energie.
Ciao Giacomo, nonostante tutto io credo nelle magnifiche sorti e progressive. Ora passatemi la pala, devo farmi strada.